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La lettera pastorale del Vescovo Brambilla nelle messe di Domodossola

Il vescovo di Novara Franco Giulio Brambilla nella sua ultima lettera pastorale  offre una meditazione sulla parabola del Buon Samaritano del Vangelo di Luca, per leggere e comprendere, attraverso uno dei racconti più belli del Vangelo, le sfide che si propongono alla comunità cristiana chiamata all’attenzione e alla vicinanza ai poveri e a chi vive le diverse forme di fragilità odierne. 

“Chi è il mio prossimo? La Sapienza della carità evangelica" è anche il tema che sarà proposto durante durante l'omelia in alcune messe celebrate nella parrocchia domese, che si svolgeranno alle 20.30 nelle chiese delle borgate che fanno riferimento alla Collegiata tra novembre e dicembre. Le celebrazioni intendono proprio essere un momento di riflessione sulla lettera pastorale del vescovo.

Questo il calendario: a Vallesone alle 20.30 il 7 novembre seguiranno altre messe con la riflessione sulla lettera pastorale del vescovo. sempre alle 20.30: il 14 ad Andosso, il 21 a Prata, il 28 a Vagna, il 5 dicembre a Vallesone.  Poi a Bognanco San Lorenzo l'8, il 15, il 22, il 29 novembre e il 6 dicembre. A San Rocco a Mocogna 6, il 13, il 20 e il 27 novembre e il 4 dicembre. 

ossolanews.it


Lo scorso 3 settembre in diocesi è stata celebrata la Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato con un pellegrinaggio da Pella a Madonna del Sasso. Al termine la messa presieduta dal nostro vescovo Franco Giulio Brambilla. Di seguito pubblichiamo il testo integrale della sua omelia


Le due tavole di Madonna del Sasso

La Parola di Dio di questa XXII domenica del Tempo Ordinario ci consente di fare una breve riflessione che, per un verso, procede nella lettura quasi continua del vangelo di Matteo, che ci sta accompagnando in questo anno liturgico e, per l’altro verso, ci aiuta a focalizzaci sul motivo che oggi ci vede qui radunati e convenuti.

 La prima tavola

Il Vangelo proclamato oggi è come la seconda tavola di un dittico, accanto a quella della scorsa domenica. Nello sviluppo del vangelo di Matteo, come anche negli altri due sinottici, l’episodio della confessione di fede si colloca al centro del racconto, in posizione strategica. L’episodio narrato nel brano proclamato domenica scorsa (Mt 16,13-20) è ambientato a Cesarea di Filippo, quando Gesù pone la domanda: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» (Mt 16, 13b). È interessante, perché è Gesù stesso che pone la domanda circa la sua identità, non la lascia nelle nostre mani. Potremmo persino smarrirla, potremmo non sentirla, come càpita oggi alla maggioranza delle persone. Che senso ha oggi interrogarsi su chi è Gesù per me? Gesù pone testardamente ad ogni epoca e continua a riproporre anche oggi la stessa domanda. C’è un bel testo ne “I fratelli Karamazov” di Fëdor Dostoevskij, che è un romanzo nel romanzo, e che narra la scena del Grande Inquisitore. La lettura del testo è avvincente: a un certo momento del confronto drammatico, l’Inquisitore dice a Gesù presente e tornato dopo diciotto secoli: «Taci! (…) Perché sei venuto a disturbarci?»

Sì, è così! Lui viene a disturbarci, ponendoci sempre da capo la stessa domanda: “Chi dice la gente che io sia?”. Una domanda che è una sorta di inchiesta, di sondaggio, circa i pareri diffusi tra la gente. Le risposte che danno i discepoli dicono quanto si dice in giro: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti» (Mt 16, 14). Gli uomini, quando va bene, cercano al massimo uno che dica una parola, che non sia semplicemente la chiacchiera, ma che sia una parola profetica. Profetica non significa che sia capace tanto di predire il futuro, ma una parola che legge e interpreta il presente, che lo legge in profondità, che non fa scorrere la mano solo sulla superficie degli eventi, ma che ne legge le dinamiche profonde. Si tratta di individuare che cosa sta avvenendo in questo periodo, dopo i quasi tre anni persi sul nostro calendario e che risultano come pagine bianche. Gesù poi incalza e pone una seconda domanda: «Ma voi, chi dite che io sia?» (Mt 16, 15). Non basta fare un’inchiesta su cosa dica la gente, occorre prendere posizione personalmente: chi sono io per te, chi sono io per voi? Che significato ho per te, come entro nel novero delle cose che fai normalmente nella vita? La domanda di Gesù è personale e personalizzante!

Poi solo nel Vangelo di Matteo segue questa scena, dopo che Pietro aveva risposto a nome di tutti i discepoli in modo esemplare con la forma più ampia: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). È quasi una risposta “da catechismo”, perfetta. Gli altri evangelisti hanno semplicemente: “Tu sei il Cristo”, cioè il Messia. A questa risposta pregnante, Gesù risponde svelando a Pietro la sua identità. Gesù, quasi simmetricamente, ribatte: «E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16, 18). Probabilmente, nel testo originale aramaico, il termine pietra era maschile: e quindi è come se Gesù avesse detto: “Tu sei sasso e su questo sasso, che sei tu, edificherò la mia Chiesa”. È efficace e bella una tale simultaneità! Infatti Pietro risponde a Gesù circa il valore della sua identità; e Gesù, per contro, gli risponde rivelandogli qual è la sua nuova identità, gli indica la sua funzione di sasso (pensate allo stupendo “sasso”, su cui è costruito il nostro Santuario), cioè egli dovrà essere roccia per la sua Chiesa. Questa, dunque, era la prima tavola del Vangelo di Matteo, che abbiamo sentito domenica scorsa.

 La seconda tavola

La seconda tavola è la pagina che abbiamo ascoltato nel vangelo di oggi. Inizia con il primo annuncio della passione: «Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno» (Mt 16,21).

L’annuncio di Gesù probabilmente è per Pietro un pugno nello stomaco! In modo particolare per il primo degli apostoli, che si aspettava un messia che doveva venire con braccio forte e con mano distesa (cfr. Ger 32,21), un messia che avrebbe sbaragliato tutti. Così era l’attesa di molti in Israele, ed è per questo motivo che c’è discussione attorno alla domanda su cosa effettivamente attendessero i contemporanei di Gesù! Quale immagine avevano del messia atteso? È accaduto anche un fatto curioso: in ebraico la parola “Mashiah” è tradotta in greco con Christós-Χριστός, cioè “unto”, consacrato del Signore. La traduzione Mashiah con Christós non verrà più usata dagli ebrei dopo Cristo, perché era stata adottata dai cristiani, e non sarà tollerata per definire il Messia del Signore. Gli ebrei useranno ancora mashiah – מָשִׁיחַ, ma da allora in poi lo tradurranno con un altro termine greco eileménos/ειλεμένος, che significa il prescelto, il consacrato. L’uso del termine Messia-Cristo ha un significato ormai differente, ha preso un’altra direzione, quella indicata da Gesù. È un messia diverso, persino strano, perché non appare con braccio forte e disteso, non viene a sbaragliare il bene sul male, ma viene per passare attraverso il male, guarendolo dal di dentro con il bene. Il male non si asporta chirurgicamente come fosse un tumore, ma lo si guarisce lavorandolo e sanandolo dal di dentro. Sappiamo che anche quando c’è un male grave che va asportato, quanta cura ha bisogno prima, durante e dopo. Questa è una caratteristica propria del cristianesimo! Gesù porta la pecorella ferita in spalla; il buon Samaritano cura con olio e vino le ferite del malcapitato. Tutte le raffigurazioni evangeliche sono coerenti con l’agire che riguarda Gesù. Certamente ci piacerebbe un uomo-Dio che sbaraglia tutto il male: questa è l’immagine incarnata da Giovanni il Battista che ha parole forti verso chi non porta frutto o è una malapianta che perciò va estirpata.

Di fronte a questo cambio di scena la risposta di Gesù è chiara e ben nota, ed è facile da ricordare anche in latino: “Vade retro Satana!”. «Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: “Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai”» (Mt 16, 22). Pietro risponde in modo quasi sfrontato, ma ecco la reazione di Gesù: «Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: “Va’ dietro a me, Satana!”» (Mt 16,23). La nuova traduzione italiana si esprime così: “Va’ dietro a me, Satana!”, ma più chiaramente potremmo intendere: “Sta’ indietro un passo, cammina dietro me, perché se fai un passo avanti a me, se cerchi in qualche modo di superarmi, per essere tu il Messia, sei diabolico, cioè sei un satana”! Tutte le volte che noi cerchiamo di superare Lui, di camminargli davanti, di non essere come chi lo segue, diventiamo diabolici, cioè satanici. Facendo così, mettiamo al centro quei valori, quelle scelte e visioni della vita che pretendono di essere il bene che sbaraglia il male, vale a dire sono quelli che immaginano un messia potente e non un messia sofferente che si carica sulle spalle la fatica, il dolore, il limite, ma anche la gioia, la speranza, il desiderio di tutti gli uomini e di tutte le donne. Perciò Pietro deve stare un passo indietro, ecco perché Gesù aggiunge: «Tu mi sei di scandalo perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». Gesù è colui che vive tutta la sua vita, pensata e vissuta secondo Dio, ma questa scelta è sempre minacciata da coloro che gli stanno intorno e che pensano al contrario secondo gli uomini.

Se non comprendiamo questa scena, non possiamo sentire le frasi che seguono. Con grande probabilità l’evangelista mette insieme alcune affermazioni di Gesù, che per la loro coerenza tematica potevano essere collegate tra loro, anche se dette in momenti diversi. La prima è la più famosa: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16, 24). In media anche nella predicazione e nella catechesi di vescovi, sacerdoti, diaconi, suore e genitori, questa frase è caduta in disuso, perché è sempre sconvolgente dover commentare «… prenda la sua croce e mi segua!». La spiegazione è data da Gesù stesso nel loghion (detto) seguente: «Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16,25). Questo è allora il messaggio che oggi vi consegno con il seguito del Vangelo.

Stamattina ho visitato una parrocchia e durante la celebrazione della messa avevo tanti ragazzi davanti. Ho detto loro di fare provare a fare un esperimento: “Quando tornate a casa, prendete una moneta da un euro e nascondetela bene in un luogo solo a voi noto, con allegato il messaggio di tirarla fuori fra dieci anni! Vedrete che il vostro euro dopo dieci anni, avrà un valore… forse dimezzato!”. I ragazzi erano tutti incuriositi. Allora ho detto loro: se tu cerchi di tenere la tua vita stretta tra le mani, di possederla e di non spenderla, ma di nasconderla sotto il materasso o sotto la piastrella, essa perde inesorabilmente di valore. È solo spendendola, mettendola in circolo, che essa acquista valore. La certezza della mia affermazione non proviene né da me, né dal parroco, né del sindaco, ma è trasmessa innanzitutto dai genitori. Ce l’hanno insegnata il papà e la mamma, iscrivendola nella nostra carne, nella nostra mente e nel nostro cuore. La presenza della mamma ci dice che la vita è buona. Continua a ripetercelo fino all’ultimo giorno della sua vita. La mamma rappresenta l’origine buona della vita, perché ci dona il nutrimento e la fiducia della vita. E il padre cosa rappresenta? Siccome la vita è buona, il padre ci dice che dovremo spenderla. Se la mamma è la sorgente inesauribile della bontà della vita, il papà ci dice che la vita va spesa, va irradiata… Un tempo il padre insegnava e trasmetteva il proprio mestiere, ma attraverso il mestiere, la professione, veniva trasmessa la cosa più difficile che era il “mestiere di vivere”! Verso la metà del Novecento, secondo il grande studioso psicanalista Lacan, è avvenuto un fenomeno che egli chiama l’evanescenza del padre! Con l’acqua sporca del padre padrone, si è gettata via anche la sorgente del padre buono! La nostra è una società senza padri, cioè senza persone autorevoli che trasmettano il mestiere di vivere. Non solo la Parola di Dio ci parla della difficoltà a donare la vita, anche se essa ce lo dice con il linguaggio di Gesù che talora è forte e tagliente.

Sul balcone della Madonna del Sasso

Infine, vi chiedo di fare un piccolo esercizio per voi che siete ascesi fino a questo luogo incantevole. Al termine della Messa, quando uscirete, affacciatevi da balcone naturale della Madonna del sasso, con il suo meraviglioso spettacolo e chiedetevi se la natura, il mondo, il creato che stanno davanti ai vostri occhi, potrà essere trasmesso alle generazioni future, possedendolo, manipolandolo, sfruttandolo, immaginandolo come una cava di pietra?!? L’ultima e improbabile immagine che potrebbe venirci in mente, affacciati da questo santuario della Madonna del Sasso, è che sotto di noi vi sia una cava di pietre da sfruttare a nostro piacimento.

Davanti al nostro sguardo si squadernerà la meraviglia, sarà lo stupore a colpirci. Il bello è bello, sempre! Anche nei nuovi progetti per le nostre case dobbiamo avere la sapienza di dare il giusto spazio sia agli edifici che alla natura. Così è accaduto lungo i secoli: quando visitiamo questi luoghi siamo sempre meravigliati di come i nostri padri abbiano costruito chiese, monasteri e conventi in luoghi incantevoli. Persino nei luoghi più impervi! E commentiamo dicendo una banalità: che bei posti, dimenticando che furono costruiti a mano, senza la tecnologia di oggi!

Un tempo c’era un rapporto di stupore, di meraviglia, di attenzione nei confronti della natura. Allora, facciamo questo esercizio: mentre ci specchieremo nella bellezza del creato, anche la nostra vita non dovrà possedere e sfruttare le cose, ma essere capace di apprezzare ciò che è bello e buono, come la bellezza della giornata che abbiamo trascorso insieme in cammino con altre persone. Perché una cosa è certa: come ci specchiamo nella natura, così essa si riflette nella nostra anima.

+Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara

diocesinovara.it

A pochi giorni dall’avvio dell’anno scolastico 2023-2024 il vescovo Franco Giulio scrive a tutti gli studenti. Ecco il testo del messaggio


Perché studiare rende liberi?

Messaggio per l’inizio dell’anno scolastico 2023-2024

Nei “The Einstein Archives Online” della “Hebrew University of Jerusalem” è possibile consultare un piccolo biglietto manoscritto del grande fisico tedesco, naturalizzato statunitense, Albert Einstein (Ulma 1879 – Princeton 1955). Insieme a una complessa formula matematica, vi si legge in tedesco un breve indirizzo di saluto che, nel dicembre 1933, egli rivolse agli studenti dell’Università di Princeton, presso la quale si trovava e dove rimase sino alla morte, a seguito dell’espulsione dalle università tedesche, nell’aprile dello stesso anno, di tutti i professori di origine ebraica.

Nel biglietto Einstein scrive: «Sono contento di vivere in mezzo a voi che siete giovani e felici. Se un vecchio studente potesse in breve dirvi qualcosa, le parole sarebbero queste: Non considerate mai lo studio come un dovere, ma come l’invidiabile occasione di conoscere la liberante bellezza nello spirito, per la vostra gioia personale e a vantaggio della comunità alla quale appartiene la vostra opera futura» (A. Einstein, Archive, 28-257).

Nel manoscritto si notano tre significative correzioni: l’aggettivo «liberante» è aggiunto in un secondo momento; anche il riferimento alla «comunità» viene aggiunto, perché prima Einstein si riferiva più semplicemente a «tutti coloro ai quali il vostro lavoro sarà dedicato»; l’espressione finale viene modificata, prima egli parla della comunità «per la quale più tardi lavorerete» e poi della comunità «alla quale appartiene la vostra opera futura».

Libertà, comunità, la vostra opera, sono tre parole aggiunte da Einstein al suo biglietto di appunti. Sono bellissime per iniziare il nuovo anno scolastico! Si studia per prepararsi e dare ciascuno la nostra opera al mondo in cui viviamo; si può crescere solo se si gusta la liberante bellezza dello spirito nelle lingue, nella letteratura, nella filosofia, nell’arte, nella storia, nei costumi, nelle scienze, nella matematica, nella tecnica; si può farlo solamente nella rete della comunità, del noi sociale, fuori dal quale siamo soli, dispersi e senza volti da guardare e amare.

Bastano queste tre parole, come dice Einstein, “per la vostra gioia personale”. E per augurarvi di cuore: Buon Anno!

Il vostro vescovo

+ Franco Giulio

diocesinovara.it

I tre volti della vocazione. Omelia per le ordinazioni diaconali di Mons. Brambilla

 Pubblichiamo di seguito il testo integrale dell’omelia che il vescovo Franco Giulio ha pronunciato lo scorso sabato 15 ottobre alle ordinazioni diaconali di don Lorenzo Armano, don Samuele Bracca e don Luigi Donati 

I tre volti della vocazione



Omelia per le ordinazioni diaconali 2022

Prologo

Carissimi Lorenzo, Samuele e Luigi,
carissimi genitori e parenti,
care comunità di Alagna Valsesia, di Casalvolone e di Calice in Domodossola
rivolgo a tutti voi un saluto particolare.

Celebriamo quest’oggi il rito di ordinazione diaconale di questi tre giovani che si sono a lungo preparati e che compiono questo primo passaggio, entrando nel ministero ordinato. Le tre letture che essi hanno scelto per la Liturgia della Parola, prese rispettivamente dal profeta Geremia (Ger 1,1.4-10), dagli Atti degli Apostoli (At 6,1-7) e dal Vangelo di Luca (Lc 1,26-38), esprimono tre volti della vocazione: il primo aspetto è la vocazione profetica, come la illustra il profeta Geremia; il secondo aspetto, tratto dal vangelo, è appunto la vocazione evangelica; il terzo aspetto come emerge dal libro degli Atti degli Apostoli, è la vocazione ecclesiale. I primi due aspetti si riferiscono a tutti noi qui radunati, compreso il bel gruppo di giovani che sono presenti e che ho potuto salutare, mentre il terzo aspetto si riferisce a ciascuno pro parte sua, secondo la chiamata che ha ricevuto e che sta vivendo.

  1. La vocazione profetica

Il primo volto della vocazione è quello profetico. Abbiamo ascoltato il bel testo dell’inizio del libro di Geremia, un profeta giovane, recalcitrante, che non risponde volentieri alla sua chiamata. E, tuttavia, proprio in questa risposta contrastata, drammatica, sono contenuti alcuni elementi molto significativi e che raccolgo brevemente.

“Mi fu rivolta questa parola del Signore:
«Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto,
prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato;
ti ho stabilito profeta delle nazioni»”. (
Ger 1, 4-5)

L’esperienza di essere chiamati parte dal seno materno: considerando la propria origine, ciascuno di noi deve poter dire ciò che esprime il salmo: “Sei tu che hai formato i miei reni e mi hai tessuto del grembo di mia madre” (Sal 139/138,13). È interessante rilevare come tutti ricordino piuttosto il testo negativo, che però rappresenta l’altra faccia della medaglia: “Ecco, nella colpa io sono nato, nel peccato mi ha concepito mia madre” (Sal 51/50,7). Il testo che oggi è stato proclamato mette in evidenza l’aspetto positivo. L’esperienza profetica ci dice che la chiamata alla vita e della vita ci precede. E precede non solo la nostra coscienza, ma addirittura il nostro venire alla luce, il nostro venire nel mondo. Noi veniamo alla vita, perché siamo chiamati. Certamente ci chiamano alla vita i genitori, ma i genitori non sono chiamati creatori della vita, sono piuttosto coloro che generano o che pro-creano, vale a dire che creano in nome di un altro e per un altro.

Questo aspetto ci viene ricordato dai figli adolescenti, quando rivendicano la loro autonomia. E a volte diviene quasi un alibi per formatori, genitori ed insegnanti, nel decidere di lasciarli andare, perché trovino la propria strada. Eppure spesso si tratta solo di non rimandare le scelte importanti per il futuro. Se ad esempio uno, perché tutti fanno così, va in discoteca e rientra a casa tutte le domeniche alle cinque del mattino, cosa costruirà per il suo futuro negli anni a venire? Non c’è niente di male in sé ad andare in discoteca – perché la domanda insidiosa è sempre: “cosa c’è di male?” -, ma ti chiedo: “Cosa stai costruendo di bene, per la tua storia, per la tua famiglia, per il tuo cuore, per i tuoi sentimenti, per la tua esistenza?”

Il profeta, invece, si sente chiamato fin dal grembo materno. È una vocazione radicale che va fino nel profondo e che chiede di interpretare sotto questa luce tutta la vita. La vita vale in quanto è risposta ad una chiamata, è risposta ad una vocazione. Ciò accade se uno non tira a campare giorno per giorno, ma sente dentro di sé la forza e la potenza di qualcuno che chiama e di una mèta a cui si è chiamati. Anzi, rispondendo a questa chiamata, non si è “uno, nessuno, centomila” secondo l’espressione del grande drammaturgo siciliano di inizio ’900, Luigi Pirandello, ma ognuno diventa se stesso con il proprio nome singolare. Ci sono, infatti, due cose che noi non ci siamo dati: il volto e il nome; essi sono il sigillo della nostra chiamata e della nostra identità.

“Risposi: «Ahimè, Signore Dio!
Ecco, io non so parlare, perché sono giovane»” (
Ger 1,6).

La nostra risposta, come per Geremia, corre il rischio di tirarsi indietro, di rimandare, di non fare oggi ciò che si può fare domani o dopodomani, ma in questo modo oggi siamo al punto che uno a trenta/trentacinque anni sta ancora cercando cosa deve fare nella vita! È persino antieconomico, perché gran parte della durata di un’esistenza viene impiegata, se non sciupata, a chiedersi cosa si deve fare per diventar grandi! Pensiamo che san Carlo Borromeo moriva a quarantasei anni, e ancor prima san Tommaso d’Aquino a quarantotto anni: a dodici anni erano già adulti! Qualcuno dei presenti, un po’ avanti negli anni, a tredici anni era già grande, avendo cominciato a lavorare prestissimo. Era già grande, e non si giustificava perché era giovane, ma si dava da fare!

“Ma il Signore mi disse: «Non dire: «Sono giovane»” (Ger 1,7a).

Ogni giorno è buono per rispondere alla chiamata della vita e alla vita come una chiamata.

“«Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò
e dirai tutto quello che io ti ordinerò»” (
Ger 1,7b).

Se voi diaconi oggi siete qui, è perché ad un certo punto della vostra vita avete risposto a questa voce. Si dice che è una voce, perché appunto chiama. Capita che quando vi chiamano a dare una testimonianza sulla vocazione, la prima cosa che viene chiesta, soprattutto da parte dei bambini a catechismo, è in qual modo si è sentita la chiamata di quella voce. Ma quella voce si ascolta ogni giorno, perché poi in un giorno particolare si sente come un appello impellente. Ed è solo rispondendo alle molte chiamate di ogni giorno che tu ascolti “la” chiamata!

“Il Signore stese la mano
e mi toccò la bocca,
e il Signore mi disse:
«Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca»” (
Ger 1,9).

Noi non sapremmo cosa dire, anzi siamo spesso balbettanti, non sappiamo come leggere il nostro tempo… Il profeta nella sua essenza non è un “indovino”, che prevede il futuro, ma è invece colui sa leggere il presente, richiama anzi al passato, alla fedeltà all’alleanza, alla fedeltà alla fede antica dei padri. Ed è proprio per questo che sa prevedere il futuro. Ecco: questa è la vocazione profetica! Tutti voi qui presenti siete dei chiamati ad essere profeti. Per ognuno di noi si potrebbero fare esempi concreti per comprendere bene questo. 

  1. La vocazione evangelica

Il secondo aspetto della vocazione è richiamato dal brano di vangelo e anche questo riguarda tutti. È l’aspetto evangelico della vocazione: si riferisce al vangelo dell’Annunciazione che abbiamo letto e ascoltato tante volte. Sottolineo solo due espressioni per dire l’aspetto evangelico della vocazione.

“Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te»”. (Lc 1,28)

Riguardo alla prima espressione dobbiamo ammettere di aver smarrito il senso della Sua presenza in mezzo a noi. Spesso secondo il nostro modo di sentire, la vita, la vocazione, l’impegno, il lavoro, le cose rappresentano solo quello che dobbiamo fare noi con le nostre energie. Tuttavia, la prima disposizione che ci chiede la nostra vocazione è il chiaro riferimento a Dio. A Lui presente in mezzo a noi! Se non si ha questa certezza, non si va da nessuna parte.

La Sua presenza, il Suo accompagnamento, la Sua vigilanza, la Sua prossimità sono il roveto ardente, il motore della nostra vocazione! Se noi che abbiamo qualche anno in più perdessimo questo centro, tutto ci verrebbe a noia. Il nostro sguardo si riempirebbe di accidia, il nostro gesto diventerebbe insignificante. Temo che questo sia il punto più fragile per tutti noi. Lo è per chi sta ancora cercando la sua strada, per chi è sposato, per chi è anziano, perché se noi diamo per presupposta la Sua presenza, essa scompare, dal momento che non si ha più la consapevolezza della certezza della presenza del Signore nella nostra vita. Egli sta al centro: il Signore centra nel senso che sta al centro, o meglio ci entra stando al centro, non alla periferia, non quando c’è bisogno di aiuto o quando il matrimonio o ogni altra vocazione non funziona… Sì, il Signore ci entra solo stando al centro! Tale è il cuore della vocazione evangelica! Ed è per questo che Maria alla fine si può esprimere dicendo:

«Ecco la serva del Signore: avvenga per me – accada – secondo la tua parola». (Lc 1,38)

Questa è la seconda espressione: noi possiamo essere solamente testimoni della sua presenza. Come Maria, ogni vocazione veramente evangelica, non può trasmettere se non quello che ha ricevuto. Ma se ciò che riceviamo è la presenza vitale del Signore al centro della nostra vita, allora la sua Parola trapela sempre dal nostro intimo, e noi siamo testimoni di un roveto ardente, che non cessa mai di bruciare, perché è un fuoco inestinguibile. La vocazione non è testimonianza di un evento del passato, ma sgorga continuamente come sorgente inesauribile.

  1. La vocazione ecclesiale

Il terzo e ultimo aspetto dalla vocazione è quello ecclesiale, e ci è suggerito dalla pagina degli Atti degli Apostoli. Qui dobbiamo diventare più concreti, perché l’episodio contenuto nel sesto capitolo degli Atti fa da cerniera – rappresenta un primo step! – e ci fa compiere un passo in avanti, presentandoci un bisogno della comunità delle origini, che ha creato un momento di grave crisi. Ascoltiamo:

“In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove”. (At 6,1)

La comunità primitiva non era composta solo da giudei, ma era una comunità mista, perché vi erano anche i greci, proseliti convertiti al giudaismo. Il testo mette in evidenza l’insorgere della crisi a causa dell’aumento degli appartenenti alla comunità e del trattamento di favore di cui godevano le vedove di una parte più dell’altra (tutto il mondo è paese!).

“Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico»”. (At 1,2-3)

Il terzo aspetto della vocazione è quello per cui la Chiesa dev’essere capace di leggere i passaggi, le crisi, i passi in avanti e le frenate, nella sua storia, cercando di porvi rimedio, facendo nascere dentro la comunità nuove figure, nuove presenze, nuovi ministeri. È ciò che accade alla nascita di un bambino: per quel nuovo nato, tutti devono fare un po’ di spazio, perché a sua volta egli possa trovare il suo spazio. È la stessa situazione nella quale ci troviamo: i presbiteri stanno diminuendo, ma è difficile creare nuovi spazi ai nuovi che dovrebbero venire.

Tutto ciò mi fa sorgere però un’obiezione: noi guardiamo realmente in faccia alla realtà?! Saremmo disposti a dare e fare nelle nostra comunità lo spazio per una presenza più variegata?! Se c’è bisogno di una nuova presenza, ci sarà da offrire uno spazio in più a chi viene comunque per servire. Uno solo – anche il parroco più carismatico – non può fare tutto da solo! Oggi siamo in questa condizione. La realtà è la seguente: dal mio arrivo a Novara, dieci anni or sono, ho celebrato 108 funerali di presbiteri contro trenta nuove ordinazioni. Il saldo è fortemente negativo. Abbiamo bisogno quindi, di nuove figure: di catechisti, di lettori, di operatori della carità, di gente che porti l’Eucarestia in casa, poi di gente che vada in missione. Il terzo aspetto della vocazione insomma riguarda le singole vocazioni: chi è giovane, chi è sposato, chi è rimasto solo, chi è anziano…

Il tema del volontariato sta diventando sempre più palpabile, ma anche più problematico. Purtroppo la legge del cosiddetto Terzo Settore intende mettere tutto in ordine, anche se alla fine si perderà la gratuità! Sarà tutto così prevedibile e ordinato, per cui, anche se è certamente necessaria la chiarezza, se non riusciremo a mantenere un po’ di spirito di gratuità – diceva già a suo tempo il Cardinale Martini – è difficile che chi fa le cose, pure giustamente stipendiato, lo faccia con un cuore libero, gratuito e appassionato.

Epilogo

Sono dunque questi tre gli aspetti della vocazione: come ho precisato nella presentazione, due riguardano tutti e il terzo riguarda ancora tutti, ma ciascuno pro parte sua. Auguro a voi tre che accedete al diaconato (dal greco diakonia/διακονίᾳ e dal verbo διακονέιν/servire), il primo grado del sacramento dell’ordine, di comprendere, come ho già detto in tante altre ordinazioni diaconali che diventare diaconi e presbiteri ed eventualmente vescovi, non significa che, da preti e da vescovi, si smette di essere diaconi, cioè servitori. Anzi uno è prete, uno è vescovo, se continua ad essere diacono e a sua volta diventa vescovo se continua ad essere presbitero. Vi auguro di cuore tutto quanto abbiamo meditato!

+Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara

fonte: diocesinovara.it

Triduo e Pasqua 2022: le celebrazioni in cattedrale Novara

 

14 aprile 2022 – Giovedì Santo

Ore 9.30:
Messa del Crisma
La  Messa in cui il vescovo, concelebrando con il suo presbiterio, consacra il crisma e benedice gli altri oli e manifesta la comunione nell’unico sacerdozio e ministero di Cristo. Durante la celebrazione si terrà il rito di ammissione agli ordini sacri di sei seminaristi del seminario diocesano.

INIZIA IL TRIDUO PASQUALE

Ore 18:
Messa in Coena Domini
Con questa Messa inizia il Triduo pasquale: fa memoria dell’ultima cena in cui Gesù offrì a Dio Padre il suo Corpo e Sangue sotto le specie del pane e del vino e li diede agli apostoli.


15 aprile 2022 – Venerdì Santo

Ore 18:
Liturgia del Venerdì Santo
In questo giorno, in cui Cristo nostra pasqua è stato immolato, la Chiesa con la meditazione della passione del Signore e con l’adorazione della croce commemora la sua origine e intercede per la salvezza di tutto il mondo.


16 aprile 2022 – Sabato Santo

Ore 21.30:
Veglia pasquale
Si celebra la Risurezione del Signore e dalla morte alla vita attraverso i Sacramenti del Battesimo, Confermazione e Eucaristia.


17 aprile 2022 – Domenica di Pasqua

Ore 10.30:
Messa Pontificale

Ore 12:
Messa

Ore 18:
Messa

Ore 20.30:
Messa


18 aprile 2021 – Lunedì dell’Angelo

Ore 10.30:
Messa



Sei seminaristi ammessi tra i candidati agli ordini sacri diocesi Novara

 Saranno sei i seminaristi del Seminario San Gaudenzio che, il prossimo giovedì 14 aprile, vivranno il rito di ammissione tra i candidati agli ordini sacri, presieduto dal vescovo Franco Giulio durante la celebrazione della Messa Crismale in cattedrale alle 9.30.

I seminaristi sono Luca Ariola e Francesco David, della parrocchia di San Martino in Masera; Alessandro Buffelli, della parrocchia del Sacro Cuore di Gesù in Novara; Federico Lucchi, della parrocchia della Natività di Maria Vergine in Arona; Michele Pastormerlo, della parrocchia di San Bartolomeo in Borgomanero e Michele Balzaretti, della parrocchia di Sant’Antonio a Novara.

fonte: diocesinovara.it








Preghiera e aiuto alle vittime della guerra. Sono questi i due appelli che lancia il vescovo di Novara Franco Giulio Brambilla alla vigilia della Quaresima


«La difficile e dolorosa situazione che si è creata in Ucraina interpella tutti e in maniera particolare le nostre comunità cristiane, che stanno per iniziare il cammino di Quaresima – dice il vescovo Franco Giulio -. Sono tante le manifestazioni di solidarietà e di vicinanza che sono arrivate sin dai primi giorni da parrocchie, associazioni e semplici cittadini. Invito ancora tutti a non far spegnere l’attenzione sul dramma che si sta consumando ai confini orientali dell’Unione Europea e che tocca da vicino le famiglie di così tante sorelle e fratelli che da anni lavorano e vivono in Italia».

LA PREGHIERA PER LA PACE

L’invito è quello di rispondere all’appello del Papa – rilanciato più volte in questi giorni proprio dal nostro vescovo – a fare di domani, Mercoledì delle Ceneri, una giornata di preghiera e digiuno perché il conflitto in Ucraina possa cessare al più presto. E di non smettere, durante il cammino quaresimale che ci conduce alla Pasqua, di chiedere al Signore la pace per tutti coloro che vivono la tragedia della guerra.

UN AIUTO ALLE POPOLAZIONI COLPITE

Il percorso diocesano di animazione della Quaresima per famiglie, giovani e parrocchie aveva come proposta di solidarietà l’attenzione al Myanmar e alla Siria. La crisi – imprevedibile per dimensione e urgenza – che riguarda l’Ucraina, suggerisce ora di mettere al centro dei cammini quaresimali l’aiuto materiale alle vittime del conflitto.

Il sostegno alla Caritas

«Pur coscienti dell’utilità di donazioni di beni materiali quali cibo o vestiario – spiega il direttore della Caritas diocesana don Giorgio Borroni -, suggeriamo alle comunità parrocchiali di non organizzare, per il momento, iniziative in tal senso, preferendo la raccolta fondi per avere risorse per reperire ciò che si renderà necessario nell’evoluzione della situazione, al momento difficilmente prevedibile».

È possibile fare le donazioni tramite bonifico alla Caritas diocesana di Novara, che provvederà ad affidare alla Caritas Italiana (in costante contatto con Caritas Ucraina) quanto raccolto.

Intestazione: Diocesi di Novara – Ufficio Caritas
IBAN: IT 90 P 03069 09606 1000000 10083
Causale: Emergenza Ucraina

In questo tempo di Quaresima, ogni parrocchia è invitata a organizzare una colletta straordinaria, secondo le modalità che più riterrà opportune.  

La raccolta di farmaci

In questi primi giorni una delle emergenze più gravi riguarda l’assistenza sanitaria. L’appello che arriva dall’ Esarcato Apostolico per i fedeli cattolici ucraini di rito bizantino residenti in Italia, ripreso da padre Yuriy Ivanyuta, parroco della parrocchia ucraina della Natività di Maria Vergine in Novara, è quello di donare direttamente farmaci e materiale medico.

Per la consegna è possibile recarsi presso la chiesa del Carmine, (Piazza Del Carmine, 1 Novara), tutti i giorni dalle 18 alle 21.

Ecco la lista di quanto necessario:

Benda orlata
Benda coesiva
Garza iodoformio
Cotone idrofilo
Gazza idrofilo oro
Compressa garza 16 strati sterile 10×10
Compresse TNT sterili e non sterili
Bende elastiche
Bende oculari
Bende all’ossido di zinco
Medicazione sterile
Tamponi garza
Cerottini sutura
Guanti monouso
Guanti chirurgici sterili
Lacci emostatici
Lacci emostatici in silicone
VAC apparecchi e ricambi
Kit per sutura
Kit per il trattamento delle ferite
Bisturi monouso sterili
Farmaci emostatici
Farmaci antidolorifici
Farmaci anticoagulanti
Farmaci antistaminici
Farmaci antinfiammatori
Farmaci antipiretici
Traverse
Pannolini per adulti e bambini
Occhiali protettivi
Ghiaccio istantaneo
Acqua ossigenata
Disinfettanti (presidi medico chirurgici)
Disinfettanti per le mani.
Stampelle
Sedie a rotella

CreditiFonte: diocesinovara.it - Immagine: Novara Today

Sinodo: prosegue il cammino diocesano

 


Prosegue il cammino della Diocesi di Novara per il Sinodo.

La diocesi di Novara, con quelle di tutta Italia e con la Chiesa universale ha avviato a partire dallo scorso ottobre, dopo l’apertura ufficiale del sinodo con la celebrazione presieduta dal vescovo a Omegna.

«Sin dallo scorso novembre, abbiamo dato l’avvio ai primi incontri nelle parrocchie e nelle Unità pastorali missionarie di presentazione e sensibilizzazione sui temi messi al centro del percorso voluto da Papa Francesco» spiega don Brunello Floriani, vicario episcopale per la pastorale e referente diocesano, con Romina Panigoni, per il cammino sinodale.

A collaborare con lui un’équipe formata dai membri della giunta del consiglio presbiterale, dalla presidenza del consiglio pastorale diocesano oltre che alcuni delegati vicariali, «il cui gruppo sta andando a completarsi in queste settimane».

Dopo questo momento di presentazione seguirà quella operativa, che porterà il percorso sinodale nel vivo.

Il percorso del Sinodo diocesano, nell’intervista a don Brunello Floriani, vicario per la Pastorale della diocesi di Novara, nel nostro settimanale in edicola da venerdì e disponibile online.

sdnovarese.it