google.com, pub-1709475914964886, DIRECT, f08c47fec0942fa0 Domodossola News: ottobre 2022

Autunno sul Monterosa, foliage e sapori

 

VERRES - Giallo, arancio, rosso, viola, oro: i colori dell'autunno ricoprono la Val d'Ayas, ai piedi del massiccio del Monte Rosa, in un'esplosione di sfumature da scoprire camminando lungo pendii scoscesi e sentieri ritagliati nei fitti boschi e tra i piccoli borghi, quelli che sorgono sull'antica via dei mercanti vallesi. Gli imponenti massicci e i ghiacciai del Rosa fanno da cornice a questo splendido paesaggio autunnale.

A piedi, a cavallo, in bicicletta o in mountain bike ci si inoltra tra castelli medievali, villaggi arroccati ai lati dei torrenti, ponti romani e panorami mozzafiato. L'autunno in Val d'Ayas accoglie con maestosi scorci paesaggistici che accompagnano lungo i sentieri che da Verrés risalgono il torrente Evançon, tra storia e cultura. Protagonista è la natura, che in questa stagione si trasforma in una variegata tavolozza di colori che cambiano a seconda delle piante che crescono alle diverse altitudini: dai ghiacciai, che imbiancano tutto l'anno le vette oltre i 4mila metri del massiccio del Monte Rosa, a larici e conifere d'alta quota, fino a ciliegi, frassini, aceri e betulle di media montagna. Il Consorzio turistico Val d'Ayas Monterosa organizza le escursioni guidate nel foliage a piedi, in bici o a cavallo.
    Anche l'enogastronomia torna protagonista con eventi, feste, mercati e degustazioni. Salumi, formaggi, vini pregiati e cereali di montagna con cui si preparano zuppe, polente e pane nero sono gli ingredienti di piatti semplici e di ricette antiche e genuine a km zero.
    Scavata dal torrente Evançon, che si unisce alla Dora Baltea proprio ai piedi dello splendido castello di Verrès, la Val d'Ayas è contraddistinta da una singolare conformazione del territorio che ha consentito di salvaguardare originarie tecniche agricole e antiche ricette. La valle offre una cucina montana genuina e sostenibile, realizzata grazie al lavoro congiunto dei produttori e dei ristoratori. Tra i formaggi, la Fontina dop è la regina indiscussa della produzione casearia valdostana, affiancata da tome aromatizzate ai più svariati sapori di montagna, e da un Fromadzo dop profumato. E poi c'è la polenta in tutte le sue varianti: dalla classica concia agli appetitosi rostì, palline ripiene di formaggio e poi fritte, e a quella che si accompagna alla carbonada alla valdostana, piatto a base di carne di manzo o di selvaggina, cotta nel vino rosso locale. Infine, i beignetes, frittelle di mele prodotte esclusivamente con frutti del territorio.
    Un altro elemento base della cucina locale è il pan ner o pane di segale delle valli di Champorcher e Gressoney, anticamente cotto una sola volta all'anno in forni comunitari. Era un alimento semplice, a cui talvolta si aggiungevano noci, castagne e cumino, fatto per durare tutto l'inverno. Molti di questi forni sopravvivono ancora oggi nella valle di Champorcher, dove negli anni '90 sono stati restaurati e riattivati per la produzione anche delle tipiche mécque, pani di segale e frumento arricchiti di fichi, castagne, noci, uvetta e, in epoca recente, anche di cioccolato e arachidi. Anche nella valle di Gressoney si contano a decine i forni restaurati: tra questi il forno Champsil, costruito dentro l'abside della cappella del villaggio, e quello di Ronche, installato sotto il livello stradale per risparmiarlo dalle valanghe.
    Tra le proposte per i visitatori c'è Graines de Culture, trekking alla scoperta di storie e sapori del Monterosa che fa conoscere la storia delle valli attraverso le architetture lasciate dal tempo, i borghi medievali, i castelli e i villaggi alpini. Per maggiori informazioni: visitmonterosa.com (ANSA).

Street art a Gravellona Toce per ricordare il partigiano Antonio Realini


 “Non sprecate il mio sacrificio” è il titolo dell’opera di street art firmata da Marco Clerici e inaugurata nell’ambito dell’Ottobre Culturale Gravellonese. Il murales, completato alla fine di luglio, rientra nel progetto nato grazie alla sinergia tra amministrazione comunale ed Enel Energia per riqualificare l’allora anonima cabina elettrica ubicata in via Realini. Lo scopo dell’opera non si limita all’estetica: si è voluto dare un significato alla via che porta, appunto, il nome del giovanissimo partigiano Realini.

«Antonio è stato un partigiano che ha combattuto per la libertà ed è morto per essa – arringa Mattia Nobili, consigliere comunale e presidente Anpi Gravellona Toce -. È stato un percorso abbastanza lungo anche a livello burocratico quello intrapreso per riuscire a realizzare quest’opera di street art, ma questo è solo l’inizio: noi oggi abbiamo fatto da apripista per una successiva realizzazione di diverse opere dedicate alla memoria dei partigiani attraverso la street art. Mi auguro che andremo a realizzare opere simili non solo a Gravellona Toce ma in tutta la provincia».

Presenti all’inaugurazione oltre all’amministrazione comunale anche Mattia Taramino ,responsabile di unità territoriale Verbania di Enel distribuzione, Flavio Maglio in rappresentanza dell’Anpi provinciale, e Paolo Cattaneo, presidente dell’Istituto Storico della Resistenza di Novara, che sottolinea l’importanza dell’evento sia per quanto concerne il recupero della cabina Enel, sia per il significato di memoria che il murales vuole esprimere.

sdnovarese.it

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Domodossola sottoscriverà la convenzione sulla Carta europea della disabilità


 Il Comune di Domodossola sarà il nono in Italia a siglare la convenzione con il ministero per le disabilità per l'attivazione della Carta europea della disabilità. La proposta è arrivata attraverso una mozione illustrata giovedì in consiglio comunale dalla consigliera della Lega Maria Elena Gandolfi ed approvata all'unanimità.

La mozione impegna il sindaco ad operare per porre in essere l'iter necessario per riconoscere , nell’ambito delle attività e dei servizi erogati dal Comune, ai titolari della Carta europea della disabilità una serie di agevolazioni che ne favoriscano l’accesso all’offerta culturale, ricreativa e socializzante della nostra città, contribuendo a garantire la piena partecipazione alla vita sociale e consentendo un accesso più semplice e rapido ai servizi attraverso la semplice esibizione della Carta Europea della Disabilità.

“È uno strumento recente – ha detto Gandolfi – fortemente voluto dalla ministra Stefani in un percorso intrapreso dalla Lega nello scorso governo. Questa carta, che viene rilasciata a tutti i disabili che ne facciano richiestasostituisce a tutti gli effetti i certificati cartacei attestanti la condizione di disabilità. Tutto questo contribuisce, oltre alla sburocratizzazione, anche ad agevolare i disabili nel conseguimento di benefici, supporti e opportunità. Uno strumento di civiltà che non è stato ancora recepito appieno, tant’è che il nostro sarà solo il nono Comune convenzionato nel nostro Paese, saremo pionieri di questo straordinario progetto. Con questa tessera sarà sempre più facile accedere ai vari servizi da parte delle persone con disabilità, peraltro in un regime di reciprocità con gli altri Paesi dell’Unione Europea, il che, oltre ad essere inclusivo, potrebbe essere di promozione per il territorio” .

Il sindaco ha ringraziato la consigliera per la mozione proposta. “Ho preso contatto con gli uffici – ha detto il sindaco - ed è un iter che possiamo attuare” è stata però respinta la parte in cui si chiedeva al Consiglio di farsi promotore di questa iniziativa anche presso associazioni private, gestori di piscine, musei, teatri, fondazioni.

La Carta sostituisce i verbali e gli altri documenti cartacei delle diverse amministrazioni per la certificazione della propria condizione di disabilità attraverso un codice QR. L’adesione alla Carta europea, in formato tessera, consentirà di di accedere a beni e servizi pubblici e privati gratuitamente o a tariffe agevolate. Una volta concluso l’iter, a Domodossola sarà possibile richiedere la Disability card direttamente sul sito dell’Inps, che ha una sezione dedicata.

ossolanews.it

I tre volti della vocazione. Omelia per le ordinazioni diaconali di Mons. Brambilla

 Pubblichiamo di seguito il testo integrale dell’omelia che il vescovo Franco Giulio ha pronunciato lo scorso sabato 15 ottobre alle ordinazioni diaconali di don Lorenzo Armano, don Samuele Bracca e don Luigi Donati 

I tre volti della vocazione



Omelia per le ordinazioni diaconali 2022

Prologo

Carissimi Lorenzo, Samuele e Luigi,
carissimi genitori e parenti,
care comunità di Alagna Valsesia, di Casalvolone e di Calice in Domodossola
rivolgo a tutti voi un saluto particolare.

Celebriamo quest’oggi il rito di ordinazione diaconale di questi tre giovani che si sono a lungo preparati e che compiono questo primo passaggio, entrando nel ministero ordinato. Le tre letture che essi hanno scelto per la Liturgia della Parola, prese rispettivamente dal profeta Geremia (Ger 1,1.4-10), dagli Atti degli Apostoli (At 6,1-7) e dal Vangelo di Luca (Lc 1,26-38), esprimono tre volti della vocazione: il primo aspetto è la vocazione profetica, come la illustra il profeta Geremia; il secondo aspetto, tratto dal vangelo, è appunto la vocazione evangelica; il terzo aspetto come emerge dal libro degli Atti degli Apostoli, è la vocazione ecclesiale. I primi due aspetti si riferiscono a tutti noi qui radunati, compreso il bel gruppo di giovani che sono presenti e che ho potuto salutare, mentre il terzo aspetto si riferisce a ciascuno pro parte sua, secondo la chiamata che ha ricevuto e che sta vivendo.

  1. La vocazione profetica

Il primo volto della vocazione è quello profetico. Abbiamo ascoltato il bel testo dell’inizio del libro di Geremia, un profeta giovane, recalcitrante, che non risponde volentieri alla sua chiamata. E, tuttavia, proprio in questa risposta contrastata, drammatica, sono contenuti alcuni elementi molto significativi e che raccolgo brevemente.

“Mi fu rivolta questa parola del Signore:
«Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto,
prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato;
ti ho stabilito profeta delle nazioni»”. (
Ger 1, 4-5)

L’esperienza di essere chiamati parte dal seno materno: considerando la propria origine, ciascuno di noi deve poter dire ciò che esprime il salmo: “Sei tu che hai formato i miei reni e mi hai tessuto del grembo di mia madre” (Sal 139/138,13). È interessante rilevare come tutti ricordino piuttosto il testo negativo, che però rappresenta l’altra faccia della medaglia: “Ecco, nella colpa io sono nato, nel peccato mi ha concepito mia madre” (Sal 51/50,7). Il testo che oggi è stato proclamato mette in evidenza l’aspetto positivo. L’esperienza profetica ci dice che la chiamata alla vita e della vita ci precede. E precede non solo la nostra coscienza, ma addirittura il nostro venire alla luce, il nostro venire nel mondo. Noi veniamo alla vita, perché siamo chiamati. Certamente ci chiamano alla vita i genitori, ma i genitori non sono chiamati creatori della vita, sono piuttosto coloro che generano o che pro-creano, vale a dire che creano in nome di un altro e per un altro.

Questo aspetto ci viene ricordato dai figli adolescenti, quando rivendicano la loro autonomia. E a volte diviene quasi un alibi per formatori, genitori ed insegnanti, nel decidere di lasciarli andare, perché trovino la propria strada. Eppure spesso si tratta solo di non rimandare le scelte importanti per il futuro. Se ad esempio uno, perché tutti fanno così, va in discoteca e rientra a casa tutte le domeniche alle cinque del mattino, cosa costruirà per il suo futuro negli anni a venire? Non c’è niente di male in sé ad andare in discoteca – perché la domanda insidiosa è sempre: “cosa c’è di male?” -, ma ti chiedo: “Cosa stai costruendo di bene, per la tua storia, per la tua famiglia, per il tuo cuore, per i tuoi sentimenti, per la tua esistenza?”

Il profeta, invece, si sente chiamato fin dal grembo materno. È una vocazione radicale che va fino nel profondo e che chiede di interpretare sotto questa luce tutta la vita. La vita vale in quanto è risposta ad una chiamata, è risposta ad una vocazione. Ciò accade se uno non tira a campare giorno per giorno, ma sente dentro di sé la forza e la potenza di qualcuno che chiama e di una mèta a cui si è chiamati. Anzi, rispondendo a questa chiamata, non si è “uno, nessuno, centomila” secondo l’espressione del grande drammaturgo siciliano di inizio ’900, Luigi Pirandello, ma ognuno diventa se stesso con il proprio nome singolare. Ci sono, infatti, due cose che noi non ci siamo dati: il volto e il nome; essi sono il sigillo della nostra chiamata e della nostra identità.

“Risposi: «Ahimè, Signore Dio!
Ecco, io non so parlare, perché sono giovane»” (
Ger 1,6).

La nostra risposta, come per Geremia, corre il rischio di tirarsi indietro, di rimandare, di non fare oggi ciò che si può fare domani o dopodomani, ma in questo modo oggi siamo al punto che uno a trenta/trentacinque anni sta ancora cercando cosa deve fare nella vita! È persino antieconomico, perché gran parte della durata di un’esistenza viene impiegata, se non sciupata, a chiedersi cosa si deve fare per diventar grandi! Pensiamo che san Carlo Borromeo moriva a quarantasei anni, e ancor prima san Tommaso d’Aquino a quarantotto anni: a dodici anni erano già adulti! Qualcuno dei presenti, un po’ avanti negli anni, a tredici anni era già grande, avendo cominciato a lavorare prestissimo. Era già grande, e non si giustificava perché era giovane, ma si dava da fare!

“Ma il Signore mi disse: «Non dire: «Sono giovane»” (Ger 1,7a).

Ogni giorno è buono per rispondere alla chiamata della vita e alla vita come una chiamata.

“«Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò
e dirai tutto quello che io ti ordinerò»” (
Ger 1,7b).

Se voi diaconi oggi siete qui, è perché ad un certo punto della vostra vita avete risposto a questa voce. Si dice che è una voce, perché appunto chiama. Capita che quando vi chiamano a dare una testimonianza sulla vocazione, la prima cosa che viene chiesta, soprattutto da parte dei bambini a catechismo, è in qual modo si è sentita la chiamata di quella voce. Ma quella voce si ascolta ogni giorno, perché poi in un giorno particolare si sente come un appello impellente. Ed è solo rispondendo alle molte chiamate di ogni giorno che tu ascolti “la” chiamata!

“Il Signore stese la mano
e mi toccò la bocca,
e il Signore mi disse:
«Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca»” (
Ger 1,9).

Noi non sapremmo cosa dire, anzi siamo spesso balbettanti, non sappiamo come leggere il nostro tempo… Il profeta nella sua essenza non è un “indovino”, che prevede il futuro, ma è invece colui sa leggere il presente, richiama anzi al passato, alla fedeltà all’alleanza, alla fedeltà alla fede antica dei padri. Ed è proprio per questo che sa prevedere il futuro. Ecco: questa è la vocazione profetica! Tutti voi qui presenti siete dei chiamati ad essere profeti. Per ognuno di noi si potrebbero fare esempi concreti per comprendere bene questo. 

  1. La vocazione evangelica

Il secondo aspetto della vocazione è richiamato dal brano di vangelo e anche questo riguarda tutti. È l’aspetto evangelico della vocazione: si riferisce al vangelo dell’Annunciazione che abbiamo letto e ascoltato tante volte. Sottolineo solo due espressioni per dire l’aspetto evangelico della vocazione.

“Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te»”. (Lc 1,28)

Riguardo alla prima espressione dobbiamo ammettere di aver smarrito il senso della Sua presenza in mezzo a noi. Spesso secondo il nostro modo di sentire, la vita, la vocazione, l’impegno, il lavoro, le cose rappresentano solo quello che dobbiamo fare noi con le nostre energie. Tuttavia, la prima disposizione che ci chiede la nostra vocazione è il chiaro riferimento a Dio. A Lui presente in mezzo a noi! Se non si ha questa certezza, non si va da nessuna parte.

La Sua presenza, il Suo accompagnamento, la Sua vigilanza, la Sua prossimità sono il roveto ardente, il motore della nostra vocazione! Se noi che abbiamo qualche anno in più perdessimo questo centro, tutto ci verrebbe a noia. Il nostro sguardo si riempirebbe di accidia, il nostro gesto diventerebbe insignificante. Temo che questo sia il punto più fragile per tutti noi. Lo è per chi sta ancora cercando la sua strada, per chi è sposato, per chi è anziano, perché se noi diamo per presupposta la Sua presenza, essa scompare, dal momento che non si ha più la consapevolezza della certezza della presenza del Signore nella nostra vita. Egli sta al centro: il Signore centra nel senso che sta al centro, o meglio ci entra stando al centro, non alla periferia, non quando c’è bisogno di aiuto o quando il matrimonio o ogni altra vocazione non funziona… Sì, il Signore ci entra solo stando al centro! Tale è il cuore della vocazione evangelica! Ed è per questo che Maria alla fine si può esprimere dicendo:

«Ecco la serva del Signore: avvenga per me – accada – secondo la tua parola». (Lc 1,38)

Questa è la seconda espressione: noi possiamo essere solamente testimoni della sua presenza. Come Maria, ogni vocazione veramente evangelica, non può trasmettere se non quello che ha ricevuto. Ma se ciò che riceviamo è la presenza vitale del Signore al centro della nostra vita, allora la sua Parola trapela sempre dal nostro intimo, e noi siamo testimoni di un roveto ardente, che non cessa mai di bruciare, perché è un fuoco inestinguibile. La vocazione non è testimonianza di un evento del passato, ma sgorga continuamente come sorgente inesauribile.

  1. La vocazione ecclesiale

Il terzo e ultimo aspetto dalla vocazione è quello ecclesiale, e ci è suggerito dalla pagina degli Atti degli Apostoli. Qui dobbiamo diventare più concreti, perché l’episodio contenuto nel sesto capitolo degli Atti fa da cerniera – rappresenta un primo step! – e ci fa compiere un passo in avanti, presentandoci un bisogno della comunità delle origini, che ha creato un momento di grave crisi. Ascoltiamo:

“In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove”. (At 6,1)

La comunità primitiva non era composta solo da giudei, ma era una comunità mista, perché vi erano anche i greci, proseliti convertiti al giudaismo. Il testo mette in evidenza l’insorgere della crisi a causa dell’aumento degli appartenenti alla comunità e del trattamento di favore di cui godevano le vedove di una parte più dell’altra (tutto il mondo è paese!).

“Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico»”. (At 1,2-3)

Il terzo aspetto della vocazione è quello per cui la Chiesa dev’essere capace di leggere i passaggi, le crisi, i passi in avanti e le frenate, nella sua storia, cercando di porvi rimedio, facendo nascere dentro la comunità nuove figure, nuove presenze, nuovi ministeri. È ciò che accade alla nascita di un bambino: per quel nuovo nato, tutti devono fare un po’ di spazio, perché a sua volta egli possa trovare il suo spazio. È la stessa situazione nella quale ci troviamo: i presbiteri stanno diminuendo, ma è difficile creare nuovi spazi ai nuovi che dovrebbero venire.

Tutto ciò mi fa sorgere però un’obiezione: noi guardiamo realmente in faccia alla realtà?! Saremmo disposti a dare e fare nelle nostra comunità lo spazio per una presenza più variegata?! Se c’è bisogno di una nuova presenza, ci sarà da offrire uno spazio in più a chi viene comunque per servire. Uno solo – anche il parroco più carismatico – non può fare tutto da solo! Oggi siamo in questa condizione. La realtà è la seguente: dal mio arrivo a Novara, dieci anni or sono, ho celebrato 108 funerali di presbiteri contro trenta nuove ordinazioni. Il saldo è fortemente negativo. Abbiamo bisogno quindi, di nuove figure: di catechisti, di lettori, di operatori della carità, di gente che porti l’Eucarestia in casa, poi di gente che vada in missione. Il terzo aspetto della vocazione insomma riguarda le singole vocazioni: chi è giovane, chi è sposato, chi è rimasto solo, chi è anziano…

Il tema del volontariato sta diventando sempre più palpabile, ma anche più problematico. Purtroppo la legge del cosiddetto Terzo Settore intende mettere tutto in ordine, anche se alla fine si perderà la gratuità! Sarà tutto così prevedibile e ordinato, per cui, anche se è certamente necessaria la chiarezza, se non riusciremo a mantenere un po’ di spirito di gratuità – diceva già a suo tempo il Cardinale Martini – è difficile che chi fa le cose, pure giustamente stipendiato, lo faccia con un cuore libero, gratuito e appassionato.

Epilogo

Sono dunque questi tre gli aspetti della vocazione: come ho precisato nella presentazione, due riguardano tutti e il terzo riguarda ancora tutti, ma ciascuno pro parte sua. Auguro a voi tre che accedete al diaconato (dal greco diakonia/διακονίᾳ e dal verbo διακονέιν/servire), il primo grado del sacramento dell’ordine, di comprendere, come ho già detto in tante altre ordinazioni diaconali che diventare diaconi e presbiteri ed eventualmente vescovi, non significa che, da preti e da vescovi, si smette di essere diaconi, cioè servitori. Anzi uno è prete, uno è vescovo, se continua ad essere diacono e a sua volta diventa vescovo se continua ad essere presbitero. Vi auguro di cuore tutto quanto abbiamo meditato!

+Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara

fonte: diocesinovara.it

Si è insediato il comitato consultivo del Sacro Monte Calvario

Mercoledì 19 ottobre si è insediato il Comitato Consultivo e di Indirizzo del Sacro Monte Calvario di Domodossola.

L’organismo, che la legge regionale istitutiva dell’Ente di Gestione dei Sacri Monti sito Unesco prevede sia nominato in ciascuno dei sette Sacri Monti, ha il compito di “formulare proposte operative all’Ente di Gestione dei Sacri Monti ed è consultato dall’Ente stesso nelle materie di interesse del Sacro Monte”.

Il Comitato Consultivo del Sacro Monte Calvario domese è composto da due consiglieri indicati dal Comune di Domodossola (Federico Delbarba e Chiara Pagani), due dal Consorzio per il restauro e la valorizzazione del Calvario (Massimo Gianoglio e Maurizio Rogora) e due proposti dal rettore del Sacro Monte (Stella Poscio e Alessandro Falchetto).

Il Comitato ha eletto come proprio presidente Federico Delbarba e come vicepresidente Stella Poscio. Alla prima seduta del Comitato hanno partecipato la presidente dell’Ente di Gestione dei Sacri Monti Francesca Giordano, il vicepresidente Maurizio De Paoli, la direttrice Nadia Salvagno e il rettore del Calvario don Michele Botto Steglia.

Al momento sono tre i Comitati Consultivi istituiti: quelli di Orta, Varallo e Domodossola.
Ossola News

Domodossola, pronti a partire i lavori al ponte della Mizzoccola

 


Intervento da 800 mila euro. Il vice presidente della Provincia: “La strada non sarà chiusa”

La Stampa